Dove Dio non si schifa...


Gesù sta compiendo "il" viaggio verso Gerusalemme, che, come si può intuire, è ben di più di un semplice spostamento geografico da nord verso sud. Per capire meglio il senso del racconto si deve sapere che la regione della Samaria è abitata da un popolo ai margini di Israele, contaminato con i pagani, contrario al culto del tempio di Gerusalemme. E' interessante che, nel gruppo dei lebbrosi, nove su dieci siano giudei e uno è samaritano. La lebbra, malattia pericolosa che richiede distanza, è simbolo del peccato, della lontananza da Dio. In più il samaritano è doppiamente distante. Gesù viaggia verso la Pasqua, verso il mistero della croce: "quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me" (Gv 12,32). Egli non prende le distanze da chi si ferma a distanza! Qui è concentrato il mistero di abbassamento e svuotamento di Cristo. E' l'iniziativa di Dio che annulla la distanza dall'uomo, sprofondato negli abissi della morte, e lo va a cercare, gli va incontro... per attirarlo a sé, alla Vita. Il Maestro invia tutti e dieci all'autorità religiosa che deve verificare e certificare, secondo la norma di legge (vedi libro del Levitico 14,1-32), l'avvenuta guarigione. Tutti sono guariti, ma uno solo è salvato! C'è qui una somiglianza con la parabola della pecora smarrita: c'è più gioia in cielo "per un solo peccatore che si converte che per novantanove giusti i quali non hanno bisogno di conversione" (Lc 15,7). Il fatto che sia uno "straniero" ad essere salvato è premonizione dell'accoglienza dell'annuncio cristiano da parte dei i pagani e il rifiuto di esso da parte dei giudei. La guarigione dalla lebbra è un fatto straordinario, ma più mirabile della carne che rifiorisce è la rifioritura dell'anima del samaritano! Da notare, in questo brano evangelico, un'indicazione preziosa per l'arte del pregare. La preghiera non è completa se è solo di domanda o di supplica. Affinché la preghiera possa dirsi "cristiana" ha bisogno della gratitudine e della lode. Come sempre, suggerisco per la meditazione personale di leggere il vangelo non solo come chiave di lettura per la mia storia personale con il Signore, ma anche come indicazione per il mio rapporto con gli altri. Nel primo caso mi chiedo: Quale lebbra infetta la mia carne? So alzare il mio grido di supplica al Signore? Lo lodo e lo ringrazio "a gran voce" per ciò che compie in me? Nel secondo caso mi domando: Ci sono persone concrete o categorie di persone che tengo a distanza? Cosa mi suggerisce il Signore nel rapporto con loro?
Concludo con alcune parole tratte dalla liturgia eucaristica:

E’ veramente giusto renderti grazie, 
Padre misericordioso: 
tu ci hai donato il tuo Figlio, Gesù Cristo, 
nostro fratello e redentore.  
In lui ci hai manifestato il tuo amore
per i piccoli e i poveri,
per gli ammalati e gli esclusi.
Mai egli si chiuse
alle necessità e alle sofferenze dei fratelli.
Con la vita e la parola
annunziò al mondo che tu sei Padre
e hai cura di tutti i tuoi figli.
Per questi segni della tua benevolenza 
noi ti lodiamo e ti benediciamo...



Dal vangelo secondo Luca (Lc 17, 11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. 
Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. 
Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 
Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!». 

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